Dopo il referendum istituzionale della primavera del 1979, col quale gli iraniani scelsero il loro nuovo regime politico che doveva sostituire la monarchia della dinastia Pahlavi, il nome ufficiale del Paese divenne “Repubblica islamica dell’Iran”. Non era la prima volta che un Paese assumeva una forma di Stato che richiamasse direttamente il modello islamico, ammesso e non concesso che esista una forma univoca di “modello islamico”; infatti, prima dell’Iran, un altro Paese asiatico aveva assunto il nome di Repubblica islamica, ovvero il Pakistan.
Ma nel caso iraniano, non eravamo semplicemente a un richiamo generico all’Islam come religione di Stato o un vago divieto per il potere legislativo di emanare norme in antitesi rispetto alle leggi coraniche. Il modello “islamico-iraniano” era e rimane senza ombra di dubbio un sistema “sui generis”, in quanto da secoli, e soprattutto in Europa, vi è l’evidente volontà di dividere la religione dallo Stato e l’etica dalla politica, addirittura anche in quelle che si definiscono “nazioni islamiche”.
Ciò deriva principalmente da due fattori:
1- L’Iran è un Paese sciita, al contrario della maggioranza dei Paesi musulmani che sono di confessione sunnita.
2- In Iran la vera forza politica trainante della Rivoluzione islamica del 1979 è stato il “clero” (anche se nell’Islam non ne esiste uno paragonabile a quello cattolico, sia come struttura, sia come gerarchie).
Per capire meglio questi due fenomeni e quindi in ultima analisi rispondere al quesito “cosa vuol dire Repubblica islamica?” dobbiamo capire alcuni tratti salienti del Testo costituzionale iraniano in vigore dal 1979 e rapportarli ad alcuni canoni e capisaldi del pensiero musulmano sciita.
L’islam sciita e la guida della comunità
Se dovessimo scegliere un articolo solo della Costituzione iraniana per capire meglio la mentalità e il “modus cogitandi” del Costituente del 1979, sicuramente quell’articolo dovrebbe essere il quinto:
“Durante il tempo dell’occultazione del dodicesimo Imam (possa Dio accelerare la sua ricomparsa), nella Repubblica islamica dell’Iran, la tutela degli affari e l’orientamento della nazione sono affidati alla responsabilità di un giurista specializzato in diritto islamico, giusto ed onesto, conoscitore della propria epoca, coraggioso, dotato di iniziativa ed abilità amministrativa…”.
Secondo il pensiero sciita, dopo la morte del Profeta Muhammad le guide dello Stato islamico non devono essere scelti dagli uomini, ma in un certo senso come i profeti anche gli “Imâm” (lett. “colui che sta davanti”, “guida”) dovevano avere un’investitura divina. Il detentore dell’autorità spirituale e del potere temporale (che secondo la maggioranza degli orientamenti della vasta galassia del mondo musulmano devono coincidere nella stesa persona), quindi, non doveva avere una “legittimazione democratica”, ma divina. Bisogna fare attenzione a non confondere però la “legittimazione” con altri concetti come “supporto popolare” o “sostegno democratico”.
I sostenitori della forma di Stato iraniana generalmente tendono a considerare la legittimazione divina e il sostegno democratico due questioni complementari e non antitetiche. In poche parole, Dio legittima il sovrano, ma il popolo se non lo segue e non lo supporta “vanifica” nei fatti la volontà divina, come effettivamente accadde per i dodici successori di Muhammad, secondo l’interpretazione sciita (a parte il primo Imâm, ‘Alî Ben Abî Tâleb, quarto califfo “ortodosso” per i sunniti).
Un tema centrale nel modello politico iraniano è poi il tema della “occultazione” di cui parla l’art. 5 della Costituzione. Per gli sciiti infatti il dodicesimo e ultimo Imâm della comunità, nato più di mille anni or sono, sarebbe ancora vivo ed in stato di “occultazione” per poi riapparire come Mahdî (“ben guidato”) alla “fine dei tempi” per instaurare un governo mondiale basato sulla giustizia (credenza, questa, diffusa in molte religioni).
La domanda che si pongono gli studiosi, perciò, è la seguente: chi ha il diritto di guidare lo Stato islamico nel periodo della “occultazione” dell’Imam? La Costituzione iraniana risponde attraverso l’art. 5 citato prima, autorizzando di fatto gli esperti delle scienze islamiche e del diritto islamico a scegliere un dottore della legge con capacità adatte alla gestione della cosa pubblica. Il Capo dello Stato islamico-iraniano si definisce come Guida (in persiano “Rahbar”), e dopo la morte dell’Ayatollah Khomeyni, verso la fine degli anni Ottanta, la carica da allora fino ad oggi è stata ricoperta dall’Ayatollah Khamene’i, eletto dal “Consiglio degli esperti” (organo composto da un’ottantina di membri eletti dal corpo elettorale ogni otto anni). Quindi il garante ultimo dell “islamicità” della Repubblica è la Guida, che attraverso il suo rango di “Sommo sacerdote”, interviene per evitare un deragliamento dal sentiero tracciato dai principi islamici: il mezzo attraverso il quale interviene la Guida per evitare la negazione dell’Islam da parte degli organi dello Stato è una sorta di potere di veto (“Hokmehokumati”, letteralmente “ordine dello Stato”).
Repubblica teocentrica
Ora che è più chiaro il concetto di Islam al quale si riferivano i fondatori della Repubblica islamica, bisogna vedere se un termine come “Repubblica” non sia in contraddizione con un regime islamico che è legittimato da Dio, essendo il sistema repubblicano legittimato normalmente dal popolo. La “Repubblica” di cui si parla in Occidente è sicuramente in antitesi con uno Stato islamico, ma il punto fondamentale è che per i costituenti iraniani “Repubblica” vuol dire semplicemente la possibilità che i cittadini possano scegliere i propri governanti, senza però che vi sia una “legittimazione democratica” dell’ordine costituito.
Attraverso una forzatura si può affermare che “Repubblica islamica” vuol dire “uno Stato teocentrico nel quale vigono le elezioni”. Nella forma classica dello Stato islamico, ovvero quella sorta di monarchia “islamocentrica” dei vari califfi e sultani (l’Impero Ottomano, l’Impero Safavide ecc…) non c’era posto per le elezioni, e il popolo era passivo nei confronti della classe dirigente. Nella Repubblica islamica dell’Iran, invece, il popolo elegge i governanti, senza però rinnegare il ruolo fondamentale del diritto islamico. Se il garante della “islamicità” del sistema è la Guida, il garante della “repubblica teocentrica” è il popolo stesso, attraverso la partecipazione alle elezioni.
Dal 1979 ad oggi, in Iran si sono svolte circa 30 elezioni (la media è di una tornata elettorale all’anno!) tra politiche, amministrative, presidenziali e referendum. Lo Stato iraniano quindi non è una Repubblica “laica” in senso occidentale, in quanto la legge di Dio è comunque sovraordinata alla legge dell’uomo, ma non è nemmeno una “teocrazia” classica nella quale i cittadini non hanno voce in capitolo. Questo principio generale, presentato per la prima volta in Iran nel 1979, oggi è ripreso, mutatis mutandis, da alcune correnti del mondo arabo che propongono, prevalentemente in ambito sunnita, una forma di Stato in cui l’Islam non sia in antitesi con uno Stato democratico moderno.